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La Sede

sede Ankara

L’Ambasciata d’Italia ad Ankara
Quando nel 1923 la Grande Assemblea Nazionale turca dichiarò Ankara capitale della neonata Repubblica di Turchia, si rese necessaria la realizzazione di una nuova sede per l’Ambasciata d’Italia, fino ad allora collocata nello storico Palazzo di Venezia ad Istanbul. Il terreno per la nuova sede venne donato all’Italia da Mustafa Kemal Atatürk su Atatürk Bulvarı, la principale arteria della capitale, dove in quegli stessi anni venivano edificate anche le Ambasciate di Germania, Stati Uniti, Austria, Polonia. I lavori per la realizzazione dell’Ambasciata italiana iniziarono però solo nel 1938, quando finalmente venne scelto il progetto dell’architetto Paolo Caccia Dominioni, e si conclusero nel 1940 dopo due anni di lavori. Ne risultò un complesso di edifici in stile “funzionalista” dove attorno all’edificio principale, residenza dell’Ambasciatore, si articolano gli uffici dell’Ambasciata e della Cancelleria consolare. I due anni di lavori per la realizzazione dell’Ambasciata sono descritti nei diari dell’architetto, di cui si riportano in calce alcuni stralci.

Dal diario dell’architetto Paolo Caccia Dominioni
1938. “ (…) quando venne dato l’ordine effettivo di cominciare i lavori, si rivelò la mancanza di un elemento che viene ritenuto generalmente indispensabile a tale genere di attività : il progetto. Ciò avveniva ai primi del 1938; e mancavano altre cose essenziali oltre al progetto. Mancavano la manodopera qualificata (…), mancavano i materiali e specialmente il legname. Non importa, si comincia. (…) Sul terreno prescelto nasce in pochi giorni un gagliardo fervore: si scavano le fondamenta dei primi sette edifici, mentre i progetti corrispondenti vengono febbrilmente studiati sulla base di un vago schema di assieme, più o meno approvato a Roma. Finalmente il 22 maggio, Monsignor Roncalli, delegato apostolico, in presenza di Carlo Galli Ambasciatore del Re, benedice la prima pietra della futura chiesa, la prima chiesa cattolica di Ankara. Ma guai se i Turchi assistessero ad una cerimonia religiosa nell’anno decimoquinto della laica dittatura kemalista: succederebbe un incidente grave. Il prelato sul terreno celebra la funzione al riparo d’un grande tavolato di legno che lo occulti alla vista . Il corpo diplomatico internazionale, chiuso all’interno del tavolato come in un a gabbia, assiste (…).

 

sede Ankara

Nel novembre 1938, ai primi freddi dell’inverno, che in Anatolia è sempre rigido, si chiude la prima stagione di lavori . Sono più o meno ultimati, e comunque già abitati ed in piena attività , i sette fabbricati: la chiesa, gli uffici, le abitazioni di funzionari ed impiegati, le autorimesse e vari impianti (…). “

 

Foto: Chiesa dell’Ambasciata. La prima pietra fu benedetta da Monsignor Roncalli, il futuro Sommo Pontefice Giovanni XXIII.

1939 “(Al)la ripresa (dei lavori), nell’aprile 1939, (…), molte difficoltà interne del cantiere sono appianate. Il lavoro di carpenteria e di muratura è ora affidato a splendide squadre di maestri venuti dalla Lombardia e dal Friuli. Questi artigiani sembra abbiano un tocco magico, il vederli lavorare dà altissimo godimento: sono accurati, rapidi e precisi (…). Non sarebbe difficile, se tutto continua così, il completare per novembre l’intero programma, cioè il palazzo principale ed altri due fabbricati di servizio. (…). Il legname non arriva che in agosto. Solo agli ultimi del mese, dopo uno scarto molto elevato, possiamo iniziare i serramenti e le opere di legno. Un anno intero, praticamente, è stato perduto, perché le case non servono se non hanno porte, finestre e mobili.
Nello stesso periodo, le grosse nubi che da tempo vanno addensandosi sopra l’Europa vengono a risolversi nel temporale sanguinoso che travolge, una dietro l’altra, le nazioni. Il cantiere di Ankara viene immediatamente disertato da tutto il personale indigeno, circa duecento tra operai e manovali (…). Meglio rimpatriare quasi tutti gli operai e rallentare al massimo i lavori. E così vien fatto, tanto più che il nuovo ambasciatore, Ottavio de Peppo, rifiuta di dare ordini circa la costruzione. Chi scrive parte poco dopo per Roma, allo scopo di ricevere precise istruzioni: ma appena giunto in Patria viene richiamato alle armi e assegnato allo stato maggior e del Principe di Piemonte, che comanda le armate alla frontiera francese. Vi passa quattro mesi, finché un ordine da Roma lo rispedisce ad Ankara per riprendere i lavori. l quali, a parer nostro, possono ora continuare senza preoccupazioni. Non v’è il minimo pericolo che l’Italia entri in guerra: così pensano tutti coloro che in quel periodo sono stati in grado di giudicare, da un privilegiato osservatorio, le reali condizioni dell’esercito nella loro inconcepibile realtà.”
1940 “Così gli stessi operai che nel settembre 1939 sono stati rimpatriati in gran fretta, vengono sollecitati a riprendere il loro posto, che tutti raggiungono nel gennaio 1940. L’autorevole parere di Palazzo Chigi sanziona il nostro. Il cantiere riprende vita malgrado il freddo eccessivo: ogni accorgimento ed ogni sacrificio sono affrontati per accelerare la conclusione. Due pomeriggi liberi al mese rappresentano l’unico riposo, e si lavora per dieci ore al giorno (…).La mensa operaia rappresenta una risorsa cospicua: tutti vi partecipiamo, dall’ingegnere fino al più giovane allievo muratore. La baracca rudimentale, pittoresca, della mensa, costruita con il legname di scarto, è divenuta famosa nel corpo diplomatico internazionale di Ankara. Frequenti inviti vengono sollecitati da illustri funzionari desiderosi di assaggiare il nostro risotto ed il nostro Valpolicella. Una sera, alla lunga tavolata che riunisce trentacinque operai italiani, siedono l’ambasciatore di Polonia, il ministro di Ungheria, i consiglieri di Francia, Inghilterra e Germania (… ). La sera del 10 giugno gli operai, secondo il solito, sono raccolti intorno alla radio. Essi apprendono così che anche l’Italia entra in guerra(…). Il personale turco, per la seconda volta, precipitosamente ci abbandona, esclusi i pochi fedelissimi che ormai sono con noi da tre anni. Ma la Turchia resta ancora neutrale ed ormai siamo davvero alla fine: con un ultimo sforzo portiamo a termine questa laboriosa impresa.
Abbiamo finito oggi, 2 agosto. Il cantiere di Ankara è durato ventinove mesi, di cui solo diciannove d’effettiva operosità. Ma se computiamo tutto quanto (…), i mesi diventano trecentocinquantaquattro, e non ci facciamo bella figura. Ma faremo bella figura qui. Il complesso architettonico, dicono, è gradevole a vedersi per l’assoluta mancanza di pretesa ed una innegabile signorilità delle linee. Il villaggio ridente del 1938 si è esteso e si è raccolto attorno alla massa dominatrice del palazzo principale. Si intona bene al paesaggio che un tempo era troppo severo, ma che oggi dopo uno sforzo che bisogna riconoscere ed ammirare, si va facendo boscoso e fiorito, sotto un cielo che ha colori ed iridescenze indimenticabili. Vivono, nei dieci fabbricati che costituiscono il piccolo villaggio, oltre settanta italiani. Questo cantiere sarà come un gioiello nella nostra lunga esistenza di lavoro (…). Rimarrà la memoria gagliarda del lavoro appassionato, lieto, rumoroso, in un’atmosfera strana e agitata: e la profonda soddisfazione d’esser riusciti a raggiungere la meta a dispetto delle circostanze».

Bibliografia: Ambasciate D’Italia in Turchia / Graziano, Vittorio. – Catania : Mediterraneum, 1994.
Foto: Massimo Cavagna